
Gli attacchi informatici ai sistemi spaziali possono produrre perdita di dati, interruzioni del servizio, interferenze dei sensori o perdita permanente delle capacità del satellite. Il tema è di importanza strategica. Per fare un esempio, durante l’invasione dell’Iraq nel 2003 il 68% delle munizioni statunitensi furono guidate usando tecnologia spaziale.
Un avversario, attraverso un attacco informatico, potrebbe potenzialmente impadronirsi del controllo di un satellite, interferire con lo scambio di dati o addirittura reindirizzare la sua orbita, trasformandolo essenzialmente in un’arma cinetica contro altre infrastrutture spaziali.
Secondo un rapporto del Royal Institute of International Affairs, “Cybersecurity of NATO’s Space-based Strategic Assets“, non sono solo i sistemi tattici americani a essere vulnerabili. Il rapporto avverte che “La crescente vulnerabilità delle risorse spaziali, delle stazioni di terra, dei sistemi di comando e controllo associati e del personale che gestisce i sistemi, non ha ancora ricevuto l’attenzione che merita”. Le maggiori vulnerabilità aumentano in modo esponenziale con l’uso di prodotti commerciali a scopi militari, l’integrazione di tecnologie a duplice uso e la proliferazione di satelliti per comunicazioni private.
E gli avversari della NATO non stanno a guardare. La Cina considera il dominio nello spazio un pre-requisito per il dominio nelle informazioni. Per Pechino l’uso di sistemi basati sullo spazio – nonché il denial degli stessi per il nemico – come un elemento “centrale per il warfare moderno“. Per il Colonnello Lawrence Sellin, scrivendo su Militarytimes, la Cina nel 2016 ha rifilato agli Stati Uniti un secondo “Sputnik-shock” (richiamando lo shock che ebbero gli USA negli anni cinquanta quando i Russi mandarono in orbita il primo satellite della storia) lanciando il primo satellite per le comunicazioni quantistiche.
Per saperne di più: The US is unprepared for space cyberwarfare